Le norme restrittive in tema di deducibilità degli interessi passivi comportano particolari problematiche nell’attuale contesto congiunturale recessivo, interagendo con diverse problematiche, a cominciare dal credit crunch, e ingenerando effetti perversi, non sempre percepiti in tutta la loro gravità. Per le imprese più fragili, fiaccate da anni molto difficili, l’asticella della deducibilità degli interessi passivi è fissata troppo in alto, con un impatto pro ciclico che aggrava la spirale negativa, senza alcun impatto apprezzabile sul gettito e anzi con l’effetto di contribuire alla scomparsa di soggetti passivi. L’impatto fiscale dell’indeducibilità degli interessi passivi interagisce anche con la crescita dello spread dei finanziamenti, cui si accompagna un irrigidimento della struttura finanziaria delle imprese. Se la normativa sull’indeducibilità degli interessi che eccedono il 30 % del ROL ha un impatto formalmente solo sul conto economico, coerentemente con la determinazione della base imponibile, essa in realtà trae le sue origini anche dallo stock di debito accumulato nel passivo di stato patrimoniale, di cui gli interessi passivi rappresentano la remunerazione. Ne deriva pertanto una contiguità con le abrogate norme in tema di thin capitalization, miranti a contrastare la sottocapitalizzazione e il conseguente elevato leverage. L’irrigidimento della struttura finanziaria delle imprese non performanti e indebitate, assoggettate alla normativa sul ROL, deriva non solo da una crescita quantitativa degli oneri finanziari, connessi ad un indebitamento cresciuto e unitariamente più oneroso, ma anche dai mutamenti, spesso surrettizi e impercettibili, della sua composizione qualitativa, in cui diminuisce la parte variabile (tasso Euribor base) e cresce, più che proporzionalmente, lo spread fisso. La difficoltà delle imprese finanziariamente poco strutturate a porre in essere strategie di immunizzazione finanziaria nell’ambito di applicazione di modelli di asset & liability management, rappresenta un’ulteriore criticità, che si rinsalda con le restrizioni fiscali, creando un effetto perverso, forse involontario ma non per questo meno pernicioso. Una lungimirante pianificazione fiscale dovrebbe ispirarsi alla sopravvivenza del “cliente – contribuente”, anche attraverso una sterilizzazione di queste normative, quanto meno in periodo di crisi, seguendo l’esempio dell’ammorbidimento di studi di settore che la congiuntura di settore ha reso pervicacemente insostenibili.